GRANI ANTICHI E BIODIVERSITA’

Quando parliamo di grani antichi intendiamo tutti quei grani che sono rimasti originali, senza subire interventi di selezione da parte dell’uomo; in poche parole sono rimasti così come madre natura li ha creati, senza subire modificazioni genetiche.

L’uomo coltiva cereali da secoli, ma negli ultimi anni il cambiamento dei metodi agronomici ha dato inizio alla selezione genetica del frumento che ha portato ai grani moderni, caratterizzati da alte produttività, grazie all’uso di fertilizzanti industriali, e da nanismo, con piante alte poche decine di centimetri a dispetto dei grani antichi che arrivano all’altezza di un metro.

Nel XX secolo, l’avvento delle tecniche di ibridazione delle spighe introdotte dal Senatore Cappelli hanno accentuato l’emarginazione della coltura dei “cereali minori” (minori per quantità prodotte e non certo per la qualità!): la saragolla, il farro, la segale, la solina ecc..

Il risultato delle modificazioni genetiche che il frumento ha subito, aumentate di pari passo allo sviluppo dell’industria alimentare e alla necessità di impastare più rapidamente, hanno portato ai grani moderni, che hanno una forza del glutine molto più alta di quella iniziale. La qualità del glutine è certamente peggiorata con la selezione. Se pensiamo che nei grani antichi la forza del glutine era circa un terzo di quella dei grani moderni, non sorprende che sempre più persone abbiamo una certa sensibilità al glutine non celiaca e la celiachia. Molti decidono autonomamente di limitare o eliminare il glutine dalla loro tavola e di ritornare a consumare varietà di cereali antichi. E a beneficiarne, oltre che la salute, è anche l’ambiente. Perché scegliere le specie antiche e autoctone vuol dire anche scegliere modelli agricoli integrati, biologici, in armonia con ambiente e territorio. Proponendo una via alternativa a mercato e multinazionali.

Esistono diverse specie di grani antichi, molti dei quali si sono formati spontaneamente in zone diverse per clima, altitudine e tipologia di terreno. Si chiamano TimilìaMaiorca,  RusselloStrazzavisazz e Monococco e sono varietà di grano altamente digeribili, a basso contenuto di glutine e coltivati rigorosamente secondo i principi dell’agricoltura biologica.

Tra quelli coltivati in Italia, oltre ai già citati, troviamo il Senatore Cappelli, grano duro profumato da cui si ottiene un’ottima pasta e il Khorasan, noto anche con il nome commerciale di Kamut.
Le aziende produttrici non sono molte, sebbene siano attivi vari programmi di sperimentazione culturale e di recupero di alcune varietà antiche del frumento, come nella Valle di Pruno, Cilento, dove si coltiva il Saragolla, grano duro originario dell’area mediterranea , il Solina, grano tenero originario dell’area appenninica centrale, il Gentil rosso, grano tenero originario dell’area appenninica centro-settentrionale e il Risciola, grano tenero del sud Italia.

Le farine ottenute, valorizzate dal metodo tradizionale di molitura a pietra, sono trasformate in pane con il preziosissimo lievito madre tramandato dalle donne della comunità di Pruno da oltre un secolo.
In Toscana, in particolare nella Maremma, c’è una grande produzione di grani antichi autoctoni come Verna , Gentil rosso, Inalettabile e il Sieve e ancora, in alcune aziende ad agricoltura biologica, vi è la produzione di Etrusco e Farro Monococco.

 

CENNI SU ALCUNI GRANI ANTICHI

 Farro Monococco

Conosciuto anche come piccolo farro, è probabilmente una delle specie affini al frumento più antiche coltivate dall’uomo. E’ una pianta della famiglia delle graminacee ed è ritenuto il primo cereale “addomesticato” dall’uomo e costitui per millenni la coltura principale in una regione indicata come Mezzaluna Fertile. Infatti, le prime coltivazioni in Medio Oriente risalgono all’8000-7500 a.C. e costituirono, insieme all’orzo, la dieta base per le popolazioni. E’ una varietà tardiva caratterizzata da un seme vestito e una spiga sottile aristata distica, con un solo fiore fertile ogni terna. Adatto a suoli aridi e poveri, si adatta bene alle basse temperature e grazie alla sua rusticità è molto resistente alle malattie fungine. È di taglia medio alta, non ama concimazioni azotate, ha un ciclo vegetativo medio lungo.

Il monococco, per incroci spontanei con altre specie di Triticum, ha dato origine a gran parte dei frumenti oggi conosciuti (dicocco, frumento duro, frumento tenero e altri). Ed è per questo che si può, senza dubbio, definire “Il padre di tutti i frumenti

La sua coltivazione fu molto ridotta nell’Età del Bronzo quanto gli agricoltori del bacino del Mediterraneo selezionarono i grani tetraploidi partendo dal Tritucum dicoccum (progenitore selvatico degli attuali Frumenti e del Farro dicocco), dai quali traevano un quantitativo maggiore di chicchi.

Le sue qualità sono veramente eccezionali: ha un alto tenore di proteine con tutti gli otto amminoacidi essenziali e contiene molto magnesio, fosforo, e calcio. E’ da considerarsi un alimento completo ed energetico. Ha un basso tenore di glutine (intorno al 7%), è panificabile, ma lievita poco. Il Farro Monococcum si presenta di colore giallo intenso con un sapore di essenza aromatica inconfondibile. Rappresenta un vero e proprio multivitaminico, in quanto contiene da 5 a 8 volte in più di antiossidanti rispetto ai grani moderni e offre un contenuto proteico maggiore e di migliore qualità.

È una specie tipicamente mediterranea, molto presente anche in Italia e che, per migliaia di anni, ha costituito la base della dieta delle popolazioni agricole.

Saragolla

 La saragolla è un cereale “antenato” dei moderni grani duri. E’ una varietà di Khorasan (Triticum turgidum ssp. durum) che fu introdotta in Abruzzo dalle popolazioni proto bulgare di Altzec, che provenivano dall’Egitto nel 400 d.C.; la stessa denominazione Saragolla è bulgara, composta da SARGA = giallo e GOLYO = seme e significa letteralmente “chicco giallo”. Un grano molto speciale, duro e vitreo come l’ambra, che produceva farine color giallo intenso; cominciò a diffondersi nelle regioni centro-orientali d’Italia.

Il declino del grano saragolla comincia alla fine del ‘700 quando le conquiste coloniali e l’incremento demografico provocano l’importazione di grani duri molto produttivi dal Nord Africa e dal Medio Oriente e questa varietà  rimase la più coltivata solo nel versante adriatico del centro Italia: l’ibridazione delle spighe, messa in atto all’inizio del XX secolo, ha accentuato la sua emarginazione. Attualmente il saragolla sopravvive solo in determinate aree dell’Abruzzo, del Sannio e della Lucania, grazie all’opera di singoli contadini che hanno continuato a seminarlo. Quella che si trova in commercio è la versione nanizzata, brevettata negli anni ’60.

Molti ancora oggi credono che il Kamut® sia una varietà di grano di qualità superiore a quello tradizionale per apporto energetico e minerali contenuti. Kamut in realtà è il nome di un’azienda statunitense che nel 1989, con un’abile operazione di marketing, ha messo il cappello sul grano sulla sottospecie turanicum della varietà di khorasan (Triticum turgidum il nome scientifico), chiamato così dalla regione dell’Iran dove fu scoperto. Il khorasan è infatti una varietà specifica, che contiene dal 12 al 18% di proteine, è ricca in selenio, magnesio e zinco e ha un glutine più destrutturato e quindi più digeribile. È stato coltivato per secoli in Anatolia, Egitto (era anche conosciuto come “grano del Faraone” e il fondatore della Kamut prese il nome dal suono di un geroglifico) e in Mesopotamia.

Il saragolla è un grano a ciclo precoce, duro e ambrato e presenta un fusto alto fino 180 cm. Ha la cariosside, cioè l’involucro del seme, nuda e allungata più di quella di qualunque altro frumento e la sua farina è di colore giallo intenso. Rispetto ad altri tipi di grano resiste molto di più ai parassiti e si presta quindi molto bene alla coltivazione biologica

Il grano saragolla, come tutti quelli della famiglia khorasan è nutriente, salutare e altamente digeribile. È particolarmente apprezzato dagli intolleranti ai prodotti del grano comune per la sua bassa quantità di glutine (non ne è privo, quindi non è comunque adatto ai celiaci). Al contrario, ha un alto contenuto di selenio e beta carotene, eccellenti antiossidanti. Di recente, un team di ricercatori dell’Università di Firenze in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi ha rilevato come consumare prodotti a base di khorasan riduca i fattori di rischio cardiovascolare come il colesterolo totale, il colesterolo LDL e la glicemia, oltre a risultare meno dannoso per l’apparato intestinale. Motivi in più per mettere in tavola il grano saragolla: una scelta sana, gustosa e a chilometro zero.

Gentil Rosso

Il Gentil Rosso è una varietà antica di grano, che veniva coltivata in Italia ad inizio 1900 ed è stata per 30 anni il grano più coltivato in tutta la penisola.

Ha come caratteristica una spiga abbastanza alta con un colore, quando matura, tendente al rossiccio. Fu sostituita in favore di grani più produttivi e dalla spiga più bassa.

Come tutti i grani antichi ha un buon tenore di proteine, ma poco glutine, quindi a livello di sviluppo del pane è minore rispetto ai grani moderni avremo però un pane ben profumato e saporito.

Si possono fare anche focacce e pizze, tenendo presente che è una tipo 2 abbastanza scura.

Uno studio su varietà europee di frumento tenero (confronto tra 36 moderne e 50 antiche coltivate fino ad un secolo fa ) ha evidenziato una maggiore presenza di gliadine responsabili della celiachia nelle varietà moderne rispetto a quelle antiche ( Van de Broeck et al., 2010).

L’Università di Firenze ha condotto sperimentazioni su vecchie varietà di frumento in coltivazione biologica. Durante il ciclo colturale non sono state apportate concimazioni azotate e in queste condizioni di agricoltura, le varietà antiche rispetto alle moderne sembrano esprimersi meglio, sia in termini di rese che di contenuto in proteine totali.

Le varietà nuove, proprio perché selezionate per un tipo di agricoltura intensiva, richiedono elevati apporti di concimi chimici per poter aumentare il contenuto proteico, che inoltre è meno digeribile e meno equilibrato dal punto di vista nutrizionale. Nei grani moderni la selezione è andata orientandosi verso l’aumento di contenuto in glutine tenace , ovvero di quelle glutenine che resistono bene alle lavorazioni industriali del pane, mantengono la struttura ma sono poco digeribili.

La differenza tra varietà moderne e varietà antiche per quanto riguarda il contenuto proteico non sta nella quantità ma nella qualità e nella varietà delle proteine: nei grani antichi è presente un’ampia gamma di proteine diverse, digeribili e nutrienti.

Nei frumenti moderni invece sono presenti pochi tipi di proteine ottimizzate per le lavorazioni industriali ma carenti dal punto di vista nutrizionale e pertanto difficilmente digeribili.

Inoltre le varietà antiche sono particolarmente ricche in sali minerali e metaboliti secondari.

Solina

In tutto l’Abruzzo interno, quando si parla di grano, si fa riferimento alla varietà solina. Esistono detti popolari che testimoniano la stretta connessione tra questa varietà e la vita della gente abruzzese. Si dice, ad esempio, “quella di solina aggiusta tutte le farine”, oppure “se il contadino vuole andare al mulino, deve seminare la solina”. Un tempo era apprezzata soprattutto per la costanza produttiva, che garantiva la sopravvivenza delle famiglie contadine.
Si tratta di una varietà di frumento tenero molto antica: fonti storiche (in particolare atti notarili di compravendita stipulati presso la fiera di Lanciano) testimoniano la sua coltivazione in Abruzzo all’inizio del XVI secolo. Agli inizi del XX secolo è stata utilizzata dal famoso genetista italiano Nazareno Strampelli per alcuni esperimenti e incroci con altre varietà locali.
È un grano caratteristico delle zone montane e marginali del Gran Sasso, specie la parte interna del massiccio sul versante aquilano, dove il freddo e le quote elevate permettono di ottenere un risultato qualitativo eccellente. In grado di resistere a lungo sotto la neve e al freddo intenso, può essere coltivato dai 600 ai 1400 metri e oltre. Anzi, maggiore è l’altitudine, migliore è la qualità: nella parte del massiccio che si affaccia su Pescara e Teramo, che gode di un clima più mite per l’influsso del mare Adriatico, la coltivazione non scende mai sotto i 750 metri. La semina è esclusivamente autunnale: da metà-fine settembre per i terreni più alti, alla seconda-terza decade di ottobre per le vallate interne, poste a quote più basse. Molto rustica, si adatta bene ai terreni poveri e ricchi di scheletro, tipici delle zone più alte.
Dal grano di Solina si ricava una farina poco tenace e adatta alle lavorazioni manuali. Il suo impiego ideale è la preparazione del pane casereccio e della pasta fatta in casa. Due ricette su tutte: la classica sfoglia tagliata a fazzoletti e utilizzata nei timballi e le scrippelle (le crepes tipiche del teramano) in brodo.

Frumento Piave 

Varietà locale di frumento tenero coltivata fino ai primi del ‘900, diffusa in tutto il Veneto ma in particolare nella fascia rivierasca del fiume Piave. Il Piave non ha trovato grande diffusione per la scarsa capacità produttiva ma  ha un profumo ed un sapore molto gradevoli e ben si presta alla panificazione. La spiga è aristata e di colore bianco.

 

Frumento Canova

Vecchia varietà locale di frumento tenero coltivata principalmente nell’Altopiano di Asiago all’inizio del secolo scorso. La spiga è aristata, di colore rosso; la pianta è alta, di media precocità e sensibile all’allettamento, in particolare nei terreni fertili.

  

Segale 

E’  un  cereale  della famiglia delle  graminacee . I primi consumi legati a questo alimento risalgono addirittura all’età del Bronzo (3500-1200 a.C.).

La segale è entrata nell’alimentazione umana grazie alla sua resistenza e, probabilmente, alla sua capacità infestante nei confronti del frumento e dell’orzo. Grazie alle sue caratteristiche di resistenza al freddo e all’altitudine, divenne una componente di sostegno essenziale soprattutto per le popolazioni orientali migranti a nord. Per lo stesso motivo, a partire dal IV secolo a.C, Celti e Germanici  coltivarono quasi esclusivamente questo cereale  destinandolo  principalmente alla panificazione.

Nel mondo se ne coltivano 10 milioni di ettari, con una produzione di oltre 20 milioni di tonnellate, concentrata nei paesi freddi, grazie alla  sua  resistenza al freddo che ne consente la semina autunnale anche in climi proibitivi per altri cereali.

Nell’Europa centro meridionale (Francia, Austria e nord Italia), le coltivazioni di segale sono  resistite fino all’epoca moderna. In Italia  viene coltivata seppur in piccola  misura   in Sud Tirolo, Friuli, Lombardia , Piemonte e Veneto. Come tutti i cereali minori ha la fortuna di non aver subito modifiche genetiche  da parte dell’uomo e mantiene quindi inalterate le  sue proprietà  e caratteristiche originali.

La segale è l’unico cereale che viene consumato quasi esclusivamente sotto forma di pane.

Il cosiddetto “pane nero”, tipico dell’Austria, del Sud Tirolo e della  Valle d’Aosta, ha valore nutrizionale analogo a quello del pane di frumento ma, essendo prodotto con farine meno raffinate, è più ricco di fibra, e con un valore calorico inferiore.

Con la farina di segale si possono preparare anche gallette, fiocchi per la prima colazione o creme. Con i chicchi, zuppe e minestre vegetali  o, se tostati e macinati, si può preparare un  ottima bevanda salutare  sostitutiva del caffè .  La segale viene utilizzata anche per produrre alcolici soprattutto  i migliori tipi di vodka.

Di notevole importanza sono le sue  proprietà nutritive.  La segale integrale contiene ben il 69% di carboidrati e circa il 12% di proteine ed è quindi un alimento  energetico e ricostituente.

E’ inoltre ricca di sali minerali come fosforo, potassio, magnesio e calcio e numerose vitamine specialmente quelle del gruppo B. Ha un’azione antisclerotica, previene l’ipertensione e ha un’azione protettiva del fegato. La ricchezza di fibre la rende adatta a chi svolge vita sedentaria perché stimola la corretta attività intestinale. E’ utile nelle diete mirate ad una riduzione del peso corporeo in quanto meno calorica rispetto agli altri cereali e perché alza poco la glicemia. Il cataplasma di farina di segale è un vecchio “rimedio della nonna” prezioso nelle contusioni e nelle infiammazioni. 

 

Miglio

Il miglio è un cereale molto antico originario dell’Asia Centro Orientale, coltivato anche dagli antichi egizi.

Alimento importante per i popoli africani ed asiatici, in Europea è utilizzato soprattutto come alimento per pollame ed uccelli da gabbia, con il passar del tempo è stato soppiantato dal grano e dal riso.

Viene utilizzato dopo decorticazione.

Per composizione è simile al frumento, ma a differenza di questo è privo di glutine, quindi ottimo alimento per i celiaci.

Il suo chicco è ricco di amido, ma anche di minerali importanti come il ferro, il magnesio, il fosforo ed il silicio.

Ricco inoltre di vitamine del gruppo A e B è un ottimo prodotto di bellezza per pelle, capelli e unghie che ne traggono grande giovamento, infatti, nelle popolazioni che ne fanno un largo uso, gli uomini e le donne hanno capelli lucenti ed unghie forti e resistenti.

Cosa importante da tenere presente è che il miglio, come anche altri cereali, non apporta tutti gli amminoacidi essenziali e va quindi sempre abbinato a legumi o a proteine di origine animale.

Ricco in colina e lecitina.

Indicato nell’infanzia, per le donne in gravidanza, utile nel prevenire gli aborti spontanei e per le persone che soffrono di acidità di stomaco poiché è l’unico cereale alcalinizzante e di facile digestione. Utile anche in tutti i soggetti con problematiche legate alla milza ed al pancreas.

Il miglio è un ottimo ricostituente ed energizzante naturale, utile in caso di stress, stanchezza, convalescenza, e astenici.

Il suo sapore dolce lo rende molto gradevole, è di facile preparazione, può essere consumato nella forma che più aggrada (fiocchi, chicchi, farina), non serve ammollo e basta prepararlo nel modo corretto.

Utile a chi non vuole, o per dieta o per patologia, rinunciare a piatti dove servono uova, poiché essendo ricco in amido è un ottimo addensante, lo si può utilizzare infatti per preparare polpette, crocchette, etc.. 

Canapa sativa

I semi di canapa hanno un gradevole sapore di nocciola. Sono protetti da un guscio esterno naturale, tra l’altro ben digeribile, che conserva efficacemente gli oli e le vitamine.

Come per tutti i semi oleosi svariate sono le possibilità di utilizzo in cucina.

Sono ottimi tostati, da soli o insieme ad altri semi,  da utilizzare per insaporire insalate, verdure, primi piatti, interi o schiacciati come si fa col pepe in grani.

Germogliati possono insaporire insalate o trovare impiego nella preparazione di hamburger e polpette vegetali. Coi semi di canapa si può anche produrre un ottimo latte vegetale.

Oppure si possono frullare, sempre da soli o con altri semi, in modo da ottenere un composto pastoso dal sapore delicato, che ricorda il burro, da spalmare o da utilizzare come condimento su bruschette o per insaporire i vostri piatti.

Dal seme di canapa si estrae con spremitura a freddo l’olio, che conserva le straordinarie caratteristiche del seme e si presta insieme all’extravergine di oliva come eccellente integratore in una sana ed equilibrata dieta quotidiana.

Grano saraceno

Fra i cereali che l’agricoltura biologica è andata recentemente riscoprendo bisogna inclu- dere in primo luogo il grano saraceno, una pianta che fornisce una farina scura assai ric- ca di principi nutritivi, impiegata un tempo nella preparazione di polenta, pane, biscotti e focacce e utilizzabile ancora oggi per ottenere questi e altri alimenti pregiati.

Molto antica è la sua storia, ma ben nota la sua origine. Coltivato inizialmente, in tempi as- sai remoti, in Cina, Siberia, Manciuria e in altre regioni dell’Asia centrale, il grano saraceno fu diffuso in seguito dai Mongoli e dai Turchi nelle regioni del Mar Nero, da dove giunse col commercio marittimo a Venezia nel secolo XV.

Agli inizi del ‘500 abbiamo notizie circa la sua coltivazione nel Veronese e, verso la metà dello stesso secolo, anche in Valtellina. Ce ne dà conferma il medico e botanico senese Pier Andrea Mattioli (1500- 1577) quando riferisce che ai suoi tempi i contadini, abitanti ai confini dell’Italia con la Germania, usavano la farina del grano saraceno per fare la po- lenta. Il nome “saraceno” gli venne probabilmente dato proprio ai tempi della Serenissima perché lo si vedeva smerciato e usato dai Turchi, i quali, come tutti i musulmani, veni- vano allora chiamati “saraceni”. Nel resto d’Europa il cereale si diffuse quindi solo dopo il Medioevo ed è tuttora coltivato soprattutto negli ambienti a estate fresca e umida delle regioni centrali e settentrionali (Russia, Polonia, Francia, ex-Jugoslavia), su terreni silicei e poveri. Attualmente la coltura del grano saraceno è molto limitata ed in continuo regresso ed è perciò poco conosciuta dalle nuove generazioni. Tuttavia, in alcune regioni italiane, e in modo particolare nella provincia di Sondrio, esso è stato di nuovo valorizza- to anche perché molti ristoratori hanno inteso rilanciare antiche ricette, quali polenta “mora”, pane, pizzoccheri ecc.

Fino a qualche decina d’anni fa, anche nella nostra Regione, tra i 500 e i 1200 metri d’altitudine, il cereale era abbastanza coltivato come secondo raccolto e spesso lo si poteva trovare inselvatichito nelle stradine di campagna.

Note botaniche e colturali

Il grano saraceno o grano nero (Polygonum fagopyrum) non appartiene alla famiglia delle Graminacee, come tutti i cereali, ma a quella delle Poligonacee. Tuttavia il suo contenuto nutritivo e il suo impiego alimentare l’hanno sempre fatto includere nella categoria dei semi appartenenti alle Graminacee.

É chiamato anche fagopiro, nome derivato dal latino fagus (faggio) e dal greco piròs (fru- mento) a causa dei frutti trigoni come quelli del faggio (faggiole). Il grano saraceno comune (Fagopyrum esculentum) ha uno sviluppo rapido, ma non raggiunge grandi dimensioni; lo stelo, più o meno ramificato, porta foglie larghe, alterne e cuoriformi e fiori biancorosei raccolti in infiorescenze a corimbo, odorose e ricche di nettare, che offrono un cibo abbondante alle api.

I frutti, piccoli acheni (frutti secchi con un solo seme, con parete coriacea aderente al seme ma non saldata ad esso) di forma caratteristica e di colore bruno o argenteo, hanno un contenuto bianco farinoso. Quando sono perfettamente secchi, si possono macinare per produrre la farina che, liberata dalla crusca, viene utilizzata, da sola o mescolata ad altre farine, per preparare le pietanze già citate.

La pianta è utilizzata anche come foraggio per il bestiame e per i gallinacei. Un consumo eccessivo di grano saraceno, però, può provocare negli animali esantemi e pruriti sulla pelle: il fenomeno è chiamato ”fagopirismo” e sembra sia causato dalla presenza di un com- posto fluorescente. La fioritura è molto appariscente: è scalare e avviene in piena estate (agosto). Anche la maturazione è scalare e la raccolta deve aver luogo quando gli ultimi semi si presentano induriti. In genere, se la semina viene fatta ai primi di luglio, la raccolta si può effettuare ai primi di ottobre. Il grano saraceno è una pianta rustica e non ha quindi particolari esigenze in fatto di terreno; tuttavia, predilige i terreni leggerei, silicei, leggermente acidi (terreni da patate) anche se poveri. Necessita di pochissime cure colturali perché presenta un breve ciclo vegetativo (poco più di tre mesi) e un rapido sviluppo. Ama il clima fresco e umido, ma non troppo freddo poiché teme le gelate. Nell’ambiente mediterraneo è considerato pianta di montagna e la sua produttività dipende in gran parte dall’andamento climatico stagionale. Prima di procedere alla semina – che si effettua a primavera, dopo le gelate, o come secondo raccolto, dopo la segale – occorre effettuare con l’aratro, su terreno fresco e non secco, un’aratura profonda 30-35 cm. Dopo l’aratura si eseguono varie erpicature con l’erpice a dischi o con la fresa per rendere il terreno fine e perciò idoneo alla semina.

Su modeste superfici la semina può esser fatta a spaglio, altrimenti si può usare una comu- ne seminatrice, facendo attenzione a non interrare troppo i semi (2-3 cm) e a mantenere tra le file la distanza di 25-30 cm. In presenza di erbe infestanti è bene effettuare una sarchiatura tra le file con la zappa; nel caso di semina a spaglio, l’erba va estirpata a mano. In ogni caso, gli interventi diserbanti meccanici risultano superflui perché questa pianta cresce rapidamente coprendo tutto il terreno e impedendo perciò lo sviluppo delle infestanti.

Il grano saraceno si raccoglie quando gli steli hanno raggiunto la tipica colorazione rossiccia e i grani sono quasi tutti neri (settembre-ottobre). La raccolta viene eseguita a mano con la falce fienaia o con la motofalciatrice, possibilmente nelle ore fresche del mattino per evitare che i semi maturi cadano a terra e vadano persi. Le piante falciate, riunite in covoni, vengono lasciate per una settimana sul terreno per consentire una completa matu- razione dei semi. Questo “cereale” non richiede in genere trattamenti antiparassitari perché non ha né particolari esigenze né parassiti specifici.

Valore nutritivo e preparazioni il grano saraceno contiene glucidi, lipidi, proteine e parec- chi aminoacidi anche essenziali, indispensabili alla nostra vita. é molto ricco di fosforo, calcio (più del frumento), ferro, rame, magnesio, vitamine B1, B2, PP, B5 e la sua percentuale di potassio supera quella di tutti gli altri cereali. Questa sua composizione lo rende molto utile, dal punto di vista alimentare, nell’infanzia, nei casi di magrezza e di deperimento organico e psichico, nell’artrite e in tutti i disturbi circolatori periferici. Eliminato l’involucro che copre il seme e cotto come il riso, è un alimento energetico, facil-mente assimilabile, molto indicato nei casi di digestione difficile e di denutrizione.
Ma la sua attività terapeutica più importante è quella che viene svolta dalle foglie. Il loro infuso (un cucchiaio per tazza d’acqua) è molto utile in tutti i casi di problemi circolatori so- prattutto venosi. In Inghilterra questa tisana non eccitante, chiamata ”buck wheat tea”, è un succedaneo del vero tè e serve a curare le varici venose.

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